Vita e Morte: Pari Opportunità

Riconoscere É la Chiave per la Illuminazione
Un discorso di Adi Da del 26 novembre 1980

Adi Da: Durante la nostra vita terrena ci scontriamo con la ostruzione che c’è fra noi e la Realizzazione del Divino. Non siamo capaci di riconoscere bene le condizioni di ciò che si manifesta nella vita e quindi riusciamo solo a manipolarle. Per quanto si cerchi di lavorare con il processo della vita per renderla come una occasione di sforzo creativo, lo stato in cui ci troviamo in punto di morte è quello che determina i fenomeni complessi della esistenza dopo la morte e prima della nuova rinascita.

Devoto: Sembrerebbe che ognuno debba superare le stesse limitazioni che trova prima di poter accettare e arrendersi al processo dell’esistenza.

Adi Da: Il processo conclusivo è lo stesso, ma le tendenze delle persone sono diverse. Come tu sei una persona diversa da quella che ti sta accanto, i fenomeni che si manifestano a te dopo la tua morte sono diversi da quelli che si manifestano al tuo vicino. Il processo spirituale è una scienza essenziale, un processo di fondo che può essere intrapreso da chiunque. Per questo il processo spirituale è lo stesso per ogni essere. Ma le tendenze che sono gli effetti prodotti dai fenomeni, sono unici per ogni individuo, anche se si muovono sulle stesse strutture universali.    

Devoto: Maestro, la scrittura tibetana sui sei Yoga di Naropa, che è molto simile al Libro Tibetano della Morte, parla e descrive il “bardo” come uno stato di opportunità per ottenere l’Illuminazione. Chi ha avuto un esercizio spirituale giusto e ha praticato durante la propria vita, può avere la consapevolezza che lo stato di bardo, dopo la morte, procura un veicolo per la trasformazione.

Adi Da: Certo, ma anche la vita lo procura! Questa esperienza stessa è anche uno stato di bardo. Questo momento corrisponde ad una illusione nella coscienza. La disposizione in cui stiamo vivendo, buona o cattiva, è la stessa disposizione che ci portiamo dietro nella dimensione del bardo. Dobbiamo concepire questa vita nel modo giusto, come dimensione del bardo stesso, come uno stato consapevole condizionato dalla nostra disposizione, e quindi, mediante la profonda partecipazione al processo spirituale, dobbiamo trasformare il nostro modo di prendere parte ai fenomeni che si manifestano.

Devoto:  la Luce Chiara descritta nel Libro Tibetano dei Morti è la stessa del “dharmakaya”, ossia della dimensione di Illuminazione Perfetta?

Adi Da: Sì, la Luce Chiara e il “dharmakaya” sono lo stesso stato. Secondo il  punto di vista del Libro Tibetano dei Morti, con la morte si perde la relazione con lo stato grossolano della fisicità, o “nirmanakaya”, e si entra della dimensione delle energie, ossia del “sambhogakaya” la dimensione delle forze psichiche, delle energie, delle apparizioni, in cui l’essere perde la prerogativa di percepire l’auto-fissazione sul nirmanakaya. Con la perdita del senso di incarnazione, l’essere tende a vagare nella dimensione del sambhogakaya, a meno che non riesca a riconoscere quei fenomeni e li trascenda. Esattamente nello stesso modo in cui, mediante la meccanica della morte, un individuo riesce a separarsi dal nirmanakaya, o stato fisico manifesto, lo stesso individuo può infrangere le barriere  delle possibilità psichiche, o mondo della dimensiione onirica, e realizzarsi nella Condizione conclusiva dei fenomeni.

Devoto: Ora capisco perché la tradizione Tibetana descrive così tante forme di bardo. Ogni essere deve trascendere ogni forma di manifestazione, grossolana o sottile.

Adi Da: Sì. Ognuno può visualizzare esseri e ambienti, nello stato del dopo-morte, che sono molto simili a quelli  contenuti nel nirmanakaya, ossia nello stato grossolano ordinario. Ma può anche incontrarsi con ogni specie di esseri più evoluti, ogni specie di dimensioni glorificanti, ma anche dimensioni terrificanti, infernali, apparizioni terribili, esseri aggressivi che sembrano voler controllare il vostro destino. Potrete sentirvi minacciati, come se foste all’inferno, ma anche felici come se foste in paradiso. Le tendenze accumulate dall’essere nel corso delle sue abitudini, associazioni, energie e desideri, determinano i fenomeni che si manifestano dopo la morte. Per quanto il Libro Tibetano dei Morti descriva tutti questi fenomeni, offre comunque una filosofia che trascende del tutto ogni forma di fenomeno, anche quello relativo allo stato di nirmanakaya .

Devoto: Se ho capito bene, la tradizione tibetana afferma che nel momento della morte, a prescindere da quale livello evolutivo, ad ogni essere è concessa, per un solo momento, un istante, la visione del dharmakaya.

Adi Da: Ogni essere umano può avere quella visione ora stesso! La natura del Buddha, il dharmakaya, Brahman, il potere di Braham, il Grande, il Divino, è assolutamente ovvio in questo momento, alla morte, e in ogni momento anche dopo la morte. In ogni momento  dell’esistenza fenomenale, quella Condizione fondamentale è tacitamente ovvia. Il riflettere e il reagire ai fenomeni psico-fisici con cui siamo associati, genera una forma di coscienza superficiale. In ogni momento, ognuno di noi è tacitamente inerente al dharmakaya, o Realtà fondamentale, Realtà Nirvanica, Natura del Buddha, Brahman. Ma noi non riconosciamo i fenomeni fino al punto di Realizzare la nostra inerenza in quella Realtà, priva di ego e assoluta.

Devoto: Le tradizioni ti portano a credere che in quel momento della morte ti venga offerto un bagliore di Realtà.

Adi Da: Il riconoscere è sempre possibile nell’evento di una trasformazione improvvisa del proprio stato abituale e fisso. Il momento della morte è una opportunità particolare, anche se enfatizzata in qualche misura, ma la stessa opportunità è anche possibile in ogni momento dello stato di veglia. Per questo è raccomandato che gli esseri umani si impegnino nel raggiungere l’Illuminazione mentre sono ancora vivi, senza aspettare il momento propizio nel corso del processo mortale.

La vostra capacità di riconoscere i fenomeni e penetrare nella Realtà Divina e Trascendente può svilupparsi nel corso della vostra vita, in quanto la meccanica effettiva nel corso della vita, effettiva  lo è anche dopo la morte, e la vostra abilità di trascendere quella meccanica dopo la morte, non è migliore rispetto allo stato di vita fisica. Dovete generare una capacità profonda per andare al di là dei fenomeni nel loro manifestarsi. Solo per il fatto che nella morte si manifesti qualcosa di diverso dalle vostre esperienze nella vita, non vuol dire che possiate sviluppare immediatamente la capacità di trascendere. E infatti, non succede. Non avrete nessuna originale capacità più di quanto non l’abbiate ora.

Come per ogni essere, siete richiamati al Dharma, ossia alla Via del riconoscere ogni sorta di fenomeni mentre siete ancora vivi, così, al momento della inevitabile morte, sarete pronti a dimostrare la capacità di trascendere anche in quell’evento. Dovete esserne comunque capaci mentre vivete, perché quel processo di cambiare le vostre circostanze relative ai fenomeni, non si manifesta spontaneamente per voi. Dopo la morte, dovrete affrontare le stesse limitazioni dell’attenzione di cui avete sofferto nella vita. Per giunta, quelle forze che controllano la vostra attenzione, sembrano più profonde di quanto non lo siano in vita.

Devoto: Il testo sui sei Yoga di Naropa precisa che se non riuscite a raggiungere la Illuminazione durante la vita, non riuscirete neanche a raggiungerlo, o comunque a mantenere la pratica, in punto di morte. E sarete sorpresi dalla sparizione del nirmanakaya.

Adi Da: L’attenzione si sposta e poi si fissa per tendenza, fino a quando non sarete in grado di riconoscere e trascendere l’abitudine dell’attenzione stessa, l’abitudine dell’energia associata alla consapevolezza. Il lavoro della vita è quello di realizzare il processo del “riconoscere”, e con quello trascendere la consuetudine dell’attenzione. E questo succede anche dopo la morte.

Mentre siamo vivi, i fenomeni si imprimono in noi direttamente, e tuttavia l’attenzione tende ad essere associata a quelli solo superficialmente, e quindi a non riconoscerli per quello che veramente sono. Allo stesso modo, manchiamo di riconoscerli anche dopo la morte, quando abbiamo perduto lo stato del nirmanakaya, ossia l’incarnazione che controlla l’attenzione. Dopo la morte, la dimensione sottile e l’energia controllano l’attenzione. La nostra condizione esistenziale rimane press’a poco la stessa.

L’Illuminazione, o processo spirituale, vuol dire riconoscere i fenomeni, ovvero l’energia dei fenomeni, che controllano e manipolano l’attenzione. Se cominciate col riconoscere il processo di identificazione che determina il senso di una indipendenza egotistica, allora, ancora in vita, potreste realizzare il dharmakaya, la Verità Divina, ovvero Tutto Ciò che si fa illuminato nel corso di tutta la vostra esistenza. Allo stesso modo, dopo la morte, avrete la possibilità e la capacità di riconoscere i fenomeni e di superarli, trascenderli, essere Felici e Illuminati, fino a passare direttamente nel Samadhi della Realizzazione ultima, anche se i fenomeni continuano ad apparire.   

Una volta Illuminati, potrete essere re-introdotti nel ciclo dei fenomeni, per servire uno Scopo più alto, radioso e Illuminato. Potreste reincarnarvi per  adempiere la Legge di quella Dimensione di una vostra esistenza che va oltre la ripetizione che ha creato paura e reattività, la Legge che è la forza fondamentale e inerente all’esistenza, e che genera tutti i fenomeni estranei alla Pienezza Illuminata. Tale rinascita, così chiamata, è diversa da una rinascita ordinaria, perchè non condizionata da reattività e auto-possesso, ma sostenuta dalla capacità Illuminata di riconoscere i fenomeni. Quella capacità del riconoscere caratterizza la differenza spirituale fra gli esseri viventi e anche dopo la loro morte e nel periodo fra morte e rinascita. Al di fuori di quella Illuminazione, la nostra esperienza e capacità di percepire sono condizionate dalle abitudini dell’attenzione, da causa ed effetto, da azione e reazione. Sono tutti processi che si manifestano quando viene meno il riconoscere i fenomeni, e piuttosto permettere che siano invece i fenomeni a determinare il nostro destino.

Il fatto di essere apparentemente nel corpo, o di essere distratti dall’attenzione che percepisce e concepisce, non è il problema. Il problema, se vogliamo chiamarlo tale, è quello  del non riconoscere questi stati caratterizzati da fenomeni. Non riconosciamo la Condizione in cui quelli si manifestano e quindi non riusciamo a trascendere le convenzioni che si impongono a noi. Non si tratta di liberarci da quei fenomeni e con quello  realizzare lo zero del falso nirvana. Dobbiamo invece riconoscere ciò che si manifesta e produrre quella energia radiosa della Realtà Trascendente, o dharmakaya, o la libera energia della sambhogakaya, nel contesto di ciò che si manifesta. In quel caso, l’esistenza è radiosa, trasfigurata e vera manifestazione spirituale.     

Realizzare la Realta Spirituale o non realizzarla, il ciclo delle manifestazioni resta comunque un processo di nascita, e poi di morte, e poi dopo la morte, e poi di nuovo con la reintegrazione nel ciclo dei fenomeni e rinascita. L’Illuminazione non vieta queste trasformazioni dell’attenzione. L’Illuminazione è la forza del riconoscere le trasformazioni, che non sono assolutamente create dalla Natura Divina o dal Divino stesso o dalla Natura del Buddha  o dal dharmakaya, ma continuano spontaneamente, senza alcuna causa. Niente che sia implicito nel fenomeno dell’esistenza dovrebbe muoverci a porre una fine alle trasformazioni. Dovremmo invece essere in relazione con quelle mediante il riconoscerle nell’Illuminazione.

Se invece non siamo capaci di riconoscere i fenomeni, rimaniamo limitati dal gioco di causa ed effetto o il suo opposto, ossia la reazione negativa di ridurci allo zero-esperienza. Ma le due illusioni – sfruttamento auto-indulgente ed egotista dei fenomeni e il falso nirvana – sono percorsi sbagliati, percorsi di paura e disorientamento. Illuminazione vuol dire riconoscere e implicitamente trascendere, con cui questa dimensione della Realtà si trasforma in energia Illuminata, in grado di associarci con le qualità positive e conclusive della relazione.   

Devoto: Maestro, mi sembra di aver capito che la Realizzazione della Luce Chiara sia un evento terminale, assoluto e conclusivo.

Adi Da: Questo concetto dello zero è diffuso nella consapevolezza occidentale. Questa è la ragione per cui resta difficile, per gli occidentali, capire i testi buddisti quando si riferiscono allo stato di Shunyata (“vuoto”), vacuità, Nirvana. La tendenza degli occidentali di associare quei concetti con lo “zero” del niente, cancella la suggestione paradossale nella letteratura buddista  relativa alla equazione identitaria fra Nirvana e Samsara. La Realizzazione coincide del tutto con il fenomeno dell’esistenza, ma non coincide per niente con il giustificare la separazione o la dissociazione da ogni forma di fenomeno.

Questa vita, questo mondo, questa esperienza sono la Luce Chiara. Se non riuscite a riconoscerla come tale Verità, vuol dire che siete associati soltanto con la condizione stessa dei fenomeni e con il ricorrere alle esperienze come si manifestano. In questo caso, potete solo riconoscere la Liberazione nel separarvi da quelle esperienze. Mentre, nel riconoscerle, l’equazione paradossale fra la Luce Chiara del Nirvana e la molteplicità e complessità del samsara si fa evidentissima. Che il Nirvana e il samsara siano la stessa cosa, è ovvio, e tuttavia è un paradosso. Un paradosso che non può essere intellettualmente spiegato,  in quanto la sua Veridicità coincide con l’esperienza del momento, quindi non qualcosa che si possa indicare o riferirsi.  

Il processo con cui si può arrivare all’Illuminazione è lo stesso in ogni momento nella meccanica di ciò che appare! Ossia un fatto di riconoscere il fenomeno semplicemente come modifica di quello che i Buddisti chiamano “mente”, o Realtà fondamentale, come la chiamo io “Essere Radioso e Trascendente”. Quello che appare non ha un significato indipendente e neppure una necessità, ed è fondamentalmente trasparente nel momento del riconoscere.

La Illuminazione è associata al riconoscere qualunque fenomeno, grossolano o sottile, che accada in vita o dopo la morte. Quello che succede dopo la morte ha un carattere astratto o sottile. Le forme che si manifestano nella vita hanno tipicamente un carattere grossolano, ma non escludono esperienze astratte e sottili, se vengono riconosciute come tali. Quelle esperienze sottili non sono comunque un segno di Illuminazione o Realizzazione. Sono delle caratteristiche o attributi della coscienza. Il fatto che le si possano ottenere, non significa pertanto né Illuminazione né esaltazione di uno stato spirituale particolare.   

Molto spesso la capacità di ottenere visioni astratte o sottili sono generalmente riconosciute come un risultato conclusivo. Io ho criticato le tradizioni che attribuiscono visioni astratte o sottili o di luce a qualche Essere Divino proveniente da qualche altra dimensione. Ritenere che quelle visioni sottili non siano associate a manifestazioni grossolane ma siano piuttosto l’espressione di Illuminazione, è precisamente l’illusione che si deve superare dal punto di vista dei più alti insegnamenti.

Considerare quei fenomeni come segni Divini, o Illuminati, è una illusione. Mentre siamo vivi, associamo felicità e piaceri con quello che desideriamo. Non riconosciamo pertanto le cose che desideriamo ma lasciamo a quelle la determinazione delle nostre esperienze. Allo stesso modo, dopo la morte o in stati meditativi, siamo ugualmente attratti dalle visioni astratte o sottili, che ci offrono lo stesso livello di piacere           

I fenomeni che possono manifestarsi dopo la morte o nella meditazione, esattamente come quelli che si manifestano nella vita da svegli, non hanno niente a che vedere con l’Illuminazione. Sono dimostrazioni della nostra capacità di raggiungere livelli di conoscenza e di esperienza, e come tali devono essere riconosciuti e abbandonati. Dipendere da forme astratte di luce, non è diverso dal dipendere da qualche persona nello stado di veglia. Così come non sia diverso il dipendere da qualche luogo, qualche associazione grossolana, o visione o apparizione di qualche stato sottile nel mondo. Ogni tipo di dipendenza da fenomeni in genere è di natura egotistica e di auto-possesso, che crea forme di illusione e condizionamenti che ostacolano e prevengono il riconoscere la vera natura o Condizione dei fenomeni. Illuminazione e Realizzazione del Divino sono Realizzazioni di estasi, auto-trascendenza, fondate sul riconoscere ogni forma dei fenomeni, siano essi grossolani, astratti o sottili.

Ogni apparenza di qualunque fenomeno dipende da qualche struttura psico-fisica, egotistica. Allo stesso modo e lo stesso problema si manifesta dopo la morte e durante la vita. Siamo in alternanza attirati o respinti da ciò che appare, reagendo positivamente o negativamente ad ogni fenomeno apparente. Questo principio è reale nello stato di veglia, reale nello stato di sogno, e reale nello stato dopo la morte. É reale in tutte le categorie possibiliste durante la vita e dopo la morte. La Verità è sempre associata al riconoscere che i fenomeni sono nient’altro che modificazioni, che non creano dipendenza, della Realtà fondamentale, ovvero Coscienza Radiosa e Trascendente o Essere Divino. 

Quando tutto questo viene riconosciuto come vero, e con quello possiamo riconoscere ogni fenomeno apparente, allora possiamo esistere nello stato di Illuminazione, che è fondamentalmente libero. Qualunque cosa si manifesti, non crea alcuna dipendenza in senso conclusivo. Noi restiamo radiosi, come Radiosa  rimane la Realtà, anche in ogni momento di ciò che appare. Ma se non possiamo confidare in questa capacità del riconoscere, allora i fenomeni stessi sono i nostri limiti, il nostro processo dei cambiamenti  trasforma e controlla l’attenzione e produce inevitabilmente il fenomeno della dipendenza.

Nella condizione del riconoscere, non esiste la dipendenza. Al di fuori del riconoscere i fenomeni, siano essi piacevoli o penosi, esiste solo la dipendenza. Questo è sempre stato il più alto e fondamentale Insegnamento di tutti i tempi, ed è lo stesso Insegnamento che voi state considerando con me.

Devoto: Maestro, se prendo una certa droga prima di venire qui, mi vengono quelle visioni di luce rossa e bianca descritte in alcune tradizioni. Sono visioni o simulazioni di esperienze dopo morte?

Adi Da: Sì. La morte rimuove la vostra percezione e concezione dei fenomeni grossolani per associarvi con quelli più sottili. Certe droghe allucinogine effettivamente riescono a produrre dei fenomeni simili a quelli che si manifestano dopo la morte. Sotto l’influenza della droga potreste tendere a sperimentare dei fenomeni, ma non con la stessa chiarezza del  come potreste invece averli dopo la morte, in parte per la imminenza del ritorno allo stato corporeo. La necessità di trascendere quel fenomeno non è così urgente, perchè state per rientrare nel vostro così detto stato normale. Tuttavia, con l’uso della droga, si possono sperimentare quei fenomeni astratti e sottili simili a quelli che si possono incontrare dopo la morte. 

Allo stesso modo, mediante alcune tecniche meditative e con l’energia di rare esperienze, una persona può riuscire a deviare percezione e concezione nella realtà convenzionale per associarsi con astrazioni di luce, suoni sottili e apparizioni visionarie di energia. Questi fenomeni sottili e astratti, possono manifestarsi nella meditazione, in occasione di shocks inaspettati, con l’uso di droghe, e con la morte. Ognuna di queste insolite condizioni  o disturbi del nostro stato convenzionale di percezione grossolana può rigenerarci o risvegliarci nella percezione di tali fenomeni. Tuttavia, nesuno di quelli è uguale al Grande Mistero, per il fatto che avere quelle percezioni insolite non significa averle trascese e neppure aver raggiunto la Illuminazione. Prendere delle droghe non ci apre a nessuna capacità del riconoscere, così come la meditazione o gli shocks della vita.

Tutta la vostra attenzione ridotta o espansa dalla percezione di punti radiosi o di grandi spazi di luce, vi riporterebbe comunque a riconoscere quella esperienza non diversa  fondamentalmente dalle vostre esperienze ordinarie dello stato di veglia in cui percepite gli altri e l’ambiente. Nel mio primo libro, The Knee Of Listening, ho descritto questo modo di discernere quelle esperienze. Ho sperimentato moltissimi fenomeni yoga, ma erano sempre seguiti puntualmente dalla constatazione che avere delle visioni sottili, mistiche, non faceva alcuna differenza dal percepire lo stato ordinario. Non c’era alcuna differenza fra la percezione meditativa e la percezione ordinaria. I contorni dei fenomeni sembravano diversi dal consueto, ma i modelli o la struttura della consapevolezza dei fenomeni era la stessa sia negli stati astratti e sottili, sia negli stati della consapevolezza grossolana. Non c’era niente di nuovo nel cambiare gli oggetti dell’attenzione. 

Il riconoscere quello che ho descritto mi rese tacitamente chiaro che la Realizzazione  non ha niente a che fare con il cambio di esperienze ottenute con mezzi diversi. La Realizzazione Divina è uguale al riconoscere il livello di associazione con i fenomeni. Nel corso della mia pratica spirituale, pertanto, questa disposizione del riconoscere divenne primaria e conseguenziale, rendendo così non importante qualunque altro mezzo di avere esperienze.

Per questo, nella storia del mio Insegnamento con le persone, ho sempre criticato quella disposizione affascinante con la possibilità di scoprire una possibile e alternativa realtà attraverso i fenomeni astratti o sottili. Nondimeno, nella Via che Insegno, non si prevengono tali fenomeni. Di fatto, durante gli esercizi devozionali e meditativi con cui ci si impegna, ogni genere di fenomeni astratti, grossolani o sottili, può  manifestarsi. Ogni devoto riporta tali esperienze.

Il processo spirituale non è un mezzo per arrivare a quelle esperienze, è piuttosto il processo che può, che deve attraversare quelle esperienze. Se ora, al presente, le esperienze che si manifestano fanno parte, essenzialmente, della consapevolezza grossolana, o fenomeno stesso dell’esistenza, dovete riconoscerlo seriamente. Se avete ora una visione di un essere sottile o di una dimensione sottile, o una visione del Maestro Spirituale in forma di luce, o di un mondo paradisiaco, dei o divinità, dovete semplicemente e profondamente riconoscerli. Se vedete una luce gialla, o blu, un campo di luce, una radiosità, dovete semplicemente e profondamente riconoscerli. Il riconoscere ogni forma di fenomeno, ogni esperienza, è l’Insegnamento Stesso.

Dovete proprio riconoscere che qualunque cosa si manifesti, incluso questo momento di percezione grossolana, è solo una modificazione non-vincolante della Realtà Radiosa e Trascendente, a cui si può dare il nome di Natura del Buddha, Nirvana, Brahman, Parabrahman, Vero Divino, Divino Ultimo, Verità. Qualunque nome vogliate utilizzare nella Realizzazione Conclusiva, Quella  è ciò che dovete Realizzare sulla base del riconoscere ciò che si manifesta. Pertanto, non è necessario ottenere una realtà alternativa, o uno stato alternativo di esperienza per essere alla fine Felici e Realizzare la Verità. Piuttosto, La Felicità o la Realizzazione della Verità è un fatto di riconoscere tutto ciò che si manifesta e succede.